martedì 30 marzo 2010

Da STORIE DI VITA

Qua e là

Di giorno..di notte..
Di qua.. di là…
Sento la vita che passa e và…
Corro sempre più forte come un atleta,
carico di patema,
continuo correre
cercando una meta.
Sempre trafelata…
Col fiato sospeso…

La poetessa

Giuliana Galante

giovedì 18 marzo 2010

lunedì 15 marzo 2010

Comunicazione Efficace

La comunicazione efficace


La comunicazione è uno dei termini oggi più usati e, talvolta, abusati. In generale, essa indica quell’insieme di segni e di messaggi – verbali e non – che servono per trasferire ad altri informazioni, ma anche emozioni e sentimenti.Comunicare, infatti, non significa semplicemente informare, ma anche e soprattutto "entrare in relazione" con soggetti esterni a noi.
La parola è un dono che solo l’uomo possiede, ma anche gli animali possono comunicare e possiamo affermare che, per ogni essere vivente, non comunicare è praticamente impossibile.
Per quanto riguarda la comunicazione umana, un classico saggio del professor Albert Mehrabian ha dimostrato che solo il 7% del significato viene veicolato dalle parole pronunciate, mentre il 38% di esso viene comunicato attraverso la tonalità in cui vengono espresse, e il restante 55% non ha nulla a che vedere con le parole, bensì con la fisiologia. Il silenzio, uno sguardo, la postura, le smorfie del volto o il modo di respirare, l’abbigliamento o il profumo usato sono aspetti che "parlano" per noi e manifestano il nostro modo d’essere, l’universo dei nostri stati d’animo, ancor più delle nostre parole.
Il filosofo russo Gurdjieff sosteneva che "noi diventiamo le parole che ascoltiamo". In effetti, le cose stanno proprio così: le parole che ascoltiamo o che pronunciamo lasciano una traccia in noi. Tutte le parole, e in particolare quelle sbagliate, ci condizionano, seminando scorie, generando atteggiamenti distorti e "storpiature" che ci complicano l’esistenza e ci intossicano la mente. Una volta pronunciate, infatti, le parole vanno ad agire almeno su due cervelli: quello di chi parla e quello di chi ascolta. In entrambi, esse diventano materia mediante un preciso percorso chimico-fisico (oltre che simbolico) che attraversa corpo e psiche a partire dall’orecchio (Morelli, 2005).
Dal timpano, i suoni che udiamo procedono nel cranio verso una struttura denominata coclea, fanno vibrare l’orecchio interno e poi si incanalano nel nervo acustico, dove stimolano il nervo vago, che si dirama verso gli organi della respirazione, della digestione e della circolazione.
A livello centrale, invece, vengono interessate alcune aree del cervello e le zone vicine alle strutture uditive, come le aree limbiche e para-limbiche, dove le emozioni si trasformano in impulsi chimico-fisici e viceversa (Morelli, 2005).
Ecco perché quando una parola entra in noi (può essere una parola da noi pronunciata, o anche solo sentita, oppure una parola che ci viene detta) ha come conseguenza quella di modificare contemporaneamente le aree cerebrali e lo stato di alcuni visceri, con conseguenze sia a livello psichico che somatico. Ecco perché le parole che utilizziamo hanno il potere di farci star bene o di creare disagio, di influenzare le nostre relazioni, la fiducia in noi stessi, le possibilità di raggiungere i nostri obiettivi e di realizzare i nostri progetti.
Sostiene Morelli (2005) che il nostro cervello è un terreno fecondo su cui le parole, le nostre come quelle altrui (se sono nostre questo discorso vale anche per le parole solo pensate) cadono come tanti semi. Ascoltando se stessi e gli altri, si diventa il fertile ricettacolo di questi semi, che poi fruttificano e germogliano nel corpo. Ogni forma di comunicazione incide dunque nella nostra psiche, lavora nel nostro inconscio per giorni, mesi, anni, arrivando a cambiare la nostra mentalità e lasciando una traccia fisica nel nostro corpo. Gurdjeff aveva intuito giustamente: noi diventiamo per davvero le parole che ascoltiamo ma, ancor di più, quelle che pensiamo o pronunciamo e che continuiamo a pronunciare.
Che fare, allora? E’ importante diventare consapevoli della nostra comunicazione, degli effetti che essa ha su di noi, sui nostri interlocutori e sulle nostre relazioni per trasformarla in comunicazione efficace. Affinché le parole diano sollievo e creino benessere, in noi stessi e negli altri, aiutandoci a ridurre lo stress, gli errori e le incomprensioni, è indispensabile acquisire consapevolezza di che cosa diciamo, di come parliamo, degli stati emozionali nostri e di coloro con cui stiamo interagendo, sia di persona che al telefono o attraverso una comunicazione scritta.
La consapevolezza è alla base dell’empatia: quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui. Questa capacità che ci consente di sapere come si sente un altro essere umano entra in gioco in continuazione, sia in ambito privato (nelle relazioni sentimentali, con i figli o con gli amici) che in ambito professionale (si pensi alla giornata lavorativa di un venditore o di un dirigente).
Un fattore determinante affinché le relazioni interpersonali siano efficaci è l’abilità con la quale un individuo riesce ad entrare in sincronia emotiva con gli altri, che consiste nel rispecchiare a livello corporeo, in modo inconscio e impercettibile ad occhio nudo, gli stati d’animo dell’interlocutore.
Afferma Goleman che quando due persone interagiscono, lo stato d’animo viene trasferito dall’individuo che esprime i sentimenti in modo più efficace a quello più passivo.
Gli individui incapaci di ricevere e trasmettere emozioni sono destinati a relazioni interpersonali problematiche, dal momento che spesso gli altri si sentono a disagio con loro, pur non riuscendone a spiegare il motivo (Goleman, 1999).
Quelli che invece sanno entrare in sintonia con gli stati d’animo altrui, o riescono facilmente a trascinare gli altri nella scia dei propri, allora, dal punto di vista emozionale, godranno di relazioni interpersonali più armoniose. La caratteristica che contraddistingue un leader carismatico o un bravo executive sta proprio nella capacità di trascinare a sé gli interlocutori in questo modo.
La sintonia emotiva funziona nel modo migliore quando nasce al di fuori della sfera cosciente e quando sorge spontaneamente. Tuttavia, si tratta di un’abilità che si può apprendere, e che può contribuire a migliorare enormemente la nostra capacità di comunicare con gli altri.

Bibliografia di riferimento
Goleman, D. (1999) Intelligenza emotiva, Bur, Milano.
James, T., Shephard D. (2001) Presenting Magically, Crown House, Wales.
Morelli, R., (2005) Dizionario della felicità, Riza, Milano.

venerdì 12 marzo 2010

Ascoltandomi 1994 (8 Marzo)

Ascoltandomi 1994 (8 Marzo)

E strappo le mie carni
lenti e perseveranti,
tornando a tempi arcani,
ascoltando i venti ridondanti
gravi, angosciosi,
palpitano a suon di battiti...
attendo, mi addormento e dico no!
Ma.. non sò..
persevero nel dubbio mio stesso.
E su quel letto mi addormento...
mi rivedo... sono io.

Giuliana Galante

giovedì 11 marzo 2010

Cantoterapia: definizione e applicazioni


Gli antichi egizi 2.600 anni fa avevano già intuito il potere della musica, e del canto per combattere la sterilità e i dolori reumatici.
Nella Grecia classica il suono del flauto serviva a lenire il dolore, a curare la sciatica, la gotta, etc…
Gli antichi pedagogisti e filosofi, sostenevano che il dono del canto fosse una delle prime attività formative dell’ uomo, non solo della personalità ma anche del corpo. Il canto come attività psicofisica educava e regolava l’equilibrio generale della persona, dandole quel “senso generale di armonia”.
In tutte le culture dell’antichità, musica e medicina erano legate. E ancora oggi la Cantoterapia è utilizzata per curare malattie come la depressione, le crisi di panico, e la balbuzie, e per migliorare la qualità di vita in persone che sono affette da forme tumorali, e malattie neurovegetative.
Oggi grazie alle ricerche scientifiche sappiamo che la musica induce modificazioni fisiologiche, e ha effetti su respirazione, ritmo cardiaco, circolazione e pressione sanguigna.
Ecco perché l’American Academy of Neurology, già nel 2001 sosteneva l’importanza dell’uso della musica e del canto come facilitatore per liberare le emozioni e le risorse creative di ciascuno, nonostante il deterioramento della malattia.
La Cantoterapia predilige l’ apparato fonatorio, L’atto del cantare muove gli epicentri vibratori, rende il respiro più profondo, rilassa i muscoli.
Cantare vuol dire coinvolgere tutte le funzioni del nostro corpo. Pensiamo a quante implicazioni si attivano nel leggere un testo, seguirlo, porre attenzione al ritmo e al tempo, alla tonalità, al fraseggio….all’intonazione,
tutto ciò si attiva in frazioni si secondo, e durante il canto gli emisferi cerebrali si attivano in contemporanea.
In questo processo il diaframma ha un ruolo importantissimo.
Il movimento coordinato del diaframma ci “permette di sincronizzare la nostra respirazione, attivando impulsi che determinano l’ossigenazione di organi funzionali. …” tutto il corpo è coordinato intorno a questo centro di gravità, il movimento del diaframma si può paragonare a quello di un onda che sale e scende lungo il tronco, nasce dal centro del corpo nell’ inspirazione, raggiunge la sommità del petto per poi discendere nella fase dell’ espirazione.
Pensiamo alle persone ansiose…. di solito hanno il ventre molto tonico e duro, contratto e incapace di rilassarsi, ciò impedisce una corretta respirazione.
Nel 1973 Lauriel Elisabeth Keues pubblicava: The creative Powerof the voice, aveva già intuito come la produzione di vocalizzi potesse avere un effetto curativo, e scriveva: “Chiunque può usare il proprio vocalizzo, proprio come usiamo l’elettricità, ci sono canali naturali di energia nel nostro corpo, quando siamo in grado di riconoscerli possiamo imparare a fluire con loro, e solo cosi ci manteniamo sani”.
Attraverso i vocalizzi è possibile acquisire tecniche vocali, potenziare ed estendere la voce, pensiamo quanto questo può essere utile, per chi ha problemi di emissione vocale, pronuncia, intonazione e velocità dell’eloquio…il canto permette alla persone di entrare in contatto col proprio corpo, le note più gravi permettono di percepire le note nel petto e nel ventre, quelle acute nel palato e nella fronte…il canto dovrebbe essere una costante per chi è affetto da patologie di tipo neurovegetativo, quali Parkinson, Alzheimer, balbuzie, ma non solo.
La Cantoterapia ha molteplici effetti sia nel lavoro col singolo che con il gruppo, è possibile scorgere i miglioramenti già dai primi incontri, la voglia di mettersi in gioco, di proporre brani, il manifestarsi di eventi e ricordi legati alla giovinezza, ai primi amori.. sarebbe bello se anche le istituzioni si ricordassero del potere educativo del canto dal punto di vista scolastico nella formazione della persona.
Concludo con una frase di I. Calvino, tratta da Sotto il sole giaguaro:
“ Una voce significa questo: c’è una persona viva, gola, torace, sentimenti che spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre voci. ….Ciò che ti attira è il piacere che questa voce mette nell’esistere come voce, ma questo piacere ti porta a immaginare il modo in cui la persona potrebbe essere diversa da ogni altra in quanto è diversa la voce”.

Giuliana Galante

lunedì 8 marzo 2010

La relazione con il bambino a disagio

"L'intersoggettività primaria si sviluppa tra il bamino e la figura materna dai 7 ai 9 mesi, attraverso l'attivazione emotiva, l'attenzione verso un oggetto, l'interesse per il viso umano e l'integrazione multisensoriale.
L'intersoggettività secondaria ha inizio dai 9 ai 18 mesi, quando l'attenzione, l'intenzione e lo sguardo diventano congiunti, anche l'emozione segue questo iter, il guardarsi, sorridersi, usare l'espresione delle emozioni come scambio sociale".
Questo è quello che chiunque studi Pedagogia o Psicologia dello sviluppo si trova a studiare sui manuali.
Per quanto tutto questo possa sembrare scontato e semplicistico, parlare di bambini a disagio affetti da patologie genetiche o perinatali è tutt'altra storia.
Nessuno si chiede mai cosa significa parlare con un bambino che non è in grado di rispondere, di dirti se ha fame, se vuole un gioco o se sta male.
E gli altri intorno a lui spesso fingono di non vederlo o che sia uguale agli altri.
La paralisi cerebrale infantile non è solo una patologia, è una condizione di vita che dalla nascita all'ultimo giorno di vita non cambierà il decorso. Si tratta di bambini che vivono tuta la vita come se fossero infanti nella fase orale, rimangono legati alle motivazioni primarie, la fame e i bisogni fisiologici, non fanno null'altro sia a casa sia a scuola.
La scuola per loro è una grande risorsa, è un luogo gioioso e creativo dove la relazione con altri bambini è una forza quotidiana di stimoli, giochi, scambi multisensoriali.
E' l'unico luogo che rende felice alcuni momenti della giornata, quando non ci sono complicazioni di salute, malumori inspiegabili, il rischio che arrivi un attacco epilettico da un momento all'altro, con routines piacevoli, momeni di coccole, contatto con i pari e baci.
Nessuno pensa mai alle famiglie, che vivono dolori continui, che seguono percorsi e consulti medici che non portano a nulla di nuovo, rivivendo oni volta la sofferenza di quando sono venuti a conoscenza della diagnosi.
La relazione col bambino a disagio che si costruisce ogni giorno a scuola, attraverso una buona osservazione partecipante, feedback positivi, frustrazione e amore incondizionato, deve essere elaborata come una spinta ad andare oltre e valorizzare ciò che di buono avviene in quel contesto.
E' una relazione difficile, semplice nelle azioni, ma alquanto complicata nei contenuti da supportare e nella costruzione dei significati.
Una delle poche certezze è che anche il più piccolo gesto quotidiano può migliorare la qualità della vita di chi dovrà convivere con la patologia fino alla fine dei suoi giorni.
Giuliana Galante

domenica 7 marzo 2010

"Sale di mare"Marzo 2007

Diploma della Creatività 8 marzo 2010

Diario di bordo

Cantoterapia al

“.......................”
02/09- 2010

13 febbraio 2010
Arrivo al ".................”, entro nella stanza in cui svolgeremo gli incontri, qui si trova un carrello al centro con tutto lo strumentario Orff, un pianoforte, e gli ospiti della struttura sono già li, disposti in cerchio, l’incontro inizierà tra circa 15’,
Hanno appena finito di far colazione, io entrando li saluto, mi avvicino a loro individualmente sorridendo, mi guardano incuriositi, finchè alcune signore che mi avevano già vista alla fine di una riunione con la direttrici e le 2 responsabili mi riconoscono e mi salutano.
Sembrano pronti a iniziare questa nuova esperienza, ma non sanno bene cosa aspettarsi…
Mi chiedono cosa faremo, e io rispondo che suoneremo un po’, ascolteremo musica e alla fine canteremo.
Mi presento a loro, avvicinandomi fisicamente, e chiedo i loro nomi, che di solito ricordo quasi da subito, in questo caso alcuni hanno nomi particolari, storici,…La maggior parte di loro è affetta da demenza senile, ma ricordano i brani legati all’infanzia, alla gioventù, i primi amori, purtroppo alcuni non ricordano nemmeno i nomi dei loro figli…
Durante l’accoglienza si sente un brano in sottofondo…Sonata n. 3 in fa minore, Op. 5, di J. Brahms.
Ci prepariamo alla scelta degli strumenti, molti mi dicono che non sanno suonare, non conoscono nemmeno i nomi di alcuni strumenti, e vogliono saperlo, iniziamo un dialogo sonoro, uno alla volta, in coppia con il mio aiuto.
Ognuno di loro ha messo tutto l’impegno possibile, ho notato che mi guardano fisso negli occhi, per pudore o paura di essere in qualche modo giudicati, la consegna è di scegliere un ritmo che piaccia a loro e suonarlo come riescono; anche i pazienti particolarmente gravi tentano, alcuni sono sedati e non hanno la forza di tenere in mano una maracas piccola, o un sonaglio da bimbo, ho chiesto alla responsabile se si può far qualcosa per modificare la terapia al mattino, in settimana ne parlerà con la Dott.ssa del centro.
Alla fine cantiamo Nel blù dipinto di blù, in questo momento vedo la partecipazione di tutti, alcuni accompagnano soprattutto nel ritornello, quando cantiamo non hanno alcuno strumento. Abbiamo letto il testo e ne abbiamo discusso, alla Sig.ra Albertina non piace, le chiedo di pensare a un brano per la prossima volta e di proporlo nel gruppo.
In questo gruppo bisogna cogliere i momenti più intensi e valorizzarli nel qui ed ora.
Abbiamo cantato il brano senza musica e solo dopo con l’accompagnamento al pianoforte.
Abbiamo deciso insieme il brano per la prossima volta: sarà “Firenze Sogna”.
Ci salutiamo suonando tutti insieme, come se fossimo un orchestra, il risultato è una improvvisazione piacevole, a un volume medio, sembra una marcia, mi sembrano soddisfatti di ciò che hanno realizzato.
Chiedo alla fine di pensare a questo momento e se hanno dei pensieri, idee, ricordi a proposito di esprimerli nel gruppo la prossima, senza dirlo a nessuno, questa attività di brainstorming sarà supportata dagli operatori del centro.
Dott.ssa Giuliana Galante

sabato 6 marzo 2010

Creatività Femminile

La creatività delle donne
di
Giuliana Galante
Mostra al Palazzo dei Pio - Sala Cervi
Carpi
Dal 6 marzo al 14 marzo 2010

La Ricerca del Suono "Perfetto"- Intervista a Paolo

Intervista a Paolo- Chitarrista Elettrico

La ricerca del suono perfetto

Gli ausili tecnologici oggi ci permettono di registrare in casa, e di comporre ciò che ci piace fornendoci suoni, in questo caso per chitarra, distorsioni, vari ripi di batteria, etc...ma cos'è che si va veramente a cercare dal punto di vista espressivo, ho sentito ultimamente parlare della ricerca del suono...che "aggrada"all'orecchio.
La musica ci offre una varietà di generi, e la chiatarra elettrica è uno degli strumenti che si presta meglio a suonare il rock, l'heavy metal, il blues...etc...
La ricerca del suono per un musicista può essere un percorso complesso, una ricerca profonda, che affiora le radici nella formazione e nel gusto personale, è ricca di cambiamenti , momenti di crescita ed esperienze. La scelta del suono è legata allo sviluppo psicologico, ad ogni ètà lo strumento giusto, ad esempio gli adolescenti tendono a riprodurre suoni cattivi, da adulti si prediligono suoni raffinati, puliti...fino ad arrivare all'utilizzo di effetti, in questo caso non è sempre facile trovare il sound adatto al brano, perché ci si dimentica spesso che il suono di uno strumento non nasce solo dalla giusta accoppiata tra “chitarra ed amplificatore”ma emerge da una serie di fattori complici quali il tocco, la dinamica e l'ambiente circostante. Basti pensare alla capacità di grandi musicisti contemporanei come Gutrie Govan, che con la stessa chitarra riesce a riprodurre qualsiasi tipo di sound. I chitarristi elettrici non smettono mai di cercare nuovi suoni, e di personalizzarli per renderli migliori, a volte non sanno neanche cosa cercare esattamente ma in quel caso è il suono giusto a trovare l'esecutore.
Il suono perfetto è un ideale che stimola l'artista e ne forma lo stile, non sò se sè n'è può dimostrare l'esistenza, ma una voce vicina a me sostiene che "ESISTE" e io voglio crederci.
Giuliana Galante

Ludwig Mirak, 𝑬' 𝑸𝑼𝑨𝑺𝑰 𝑳'𝑨𝑳𝑩𝑨

In arrivo: LUDWIK MIRAK, E' quasi l'alba Lui è un cantautore di cui sentiremo parlare molto! Si chiama Paolo Karim Gozzo (in arte...