Dott.ssa Giuliana Galante- Musicoterapeuta
cell. 3476655657 E-mail: giulygala@tiscali.it-
BLOG: giulygala.blogspot.com
Riassunto Tesi:
“Le Forme del Pensiero Musicale”
III anno Scuola di Specializzazione di Musicoterapia presso
cell. 3476655657 E-mail: giulygala@tiscali.it-
BLOG: giulygala.blogspot.com
Riassunto Tesi:
“Le Forme del Pensiero Musicale”
III anno Scuola di Specializzazione di Musicoterapia presso
Istituto Meme s.r.l. - Modena
Dal punto di vista teorico le applicazioni della musicoterapia sono molteplici, hanno un campo d’azione interdisciplinare, dall’ambito preventivo/educativo a quello riabilitativo terapeutico.
Questi settori non sono separati, ma si integrano all’interno di una realtà complessa.
Dalla lettura della diagnosi, alla stesura del progetto, il paziente va accolto, nella sua totalità.
Dal primo incontro inizia una storia nuova, in cui il paziente occupa un ruolo centrale.
Come sostiene Edith Stein rapportarsi con una persona significa porre la propria corporeità con quella dell’altro, ciò permette di entrare in empatia.
Soggetto dell’empatia è in noi.
Anche Hursel fa riferimento al Korper dal punto di vista fisiologico in connessione al Leib, il corpo che si emoziona e vibra.
Il vibrare del corpo del paziente da vita al corpo vibrante, come il luogo che permette all’uomo di cogliere il mondo esterno e allo stesso tempo l’esempio utile all’uomo per prolungare se stesso attraverso gli strumenti musicali.
Il progetto ricollegandosi a questi principi è stato intitolato “…Le Forme del pensiero Musicale”, il titolo fa evincere come la musica possa permettere al paziente di esprimersi nelle forme più diverse, attraverso l’agire, il “fare Musica”.
Come un dialogo che ha inizio dal corpo, fatto di gesti, posture, sguardi, ordine ritmico.
Il suono e gli strumenti permettono all’uomo di percepire in mondo, aprirsi al mondo e agli altri, il percorso è strutturato in chiave bio-psico-sociale.
L’approccio al Progetto è stato umanistico- fenomenologico.
Il paziente accolto in seduta era libero di scegliere lo strumento che in quel momento sentiva.
La disposizione degli strumenti all’interno del setting era strutturata in base all’obiettivo dell’incontro.
Gli strumenti potevano essere riposti sul carrello, disposti sul pavimento in una posizione centrale, o sparsi per la stanza.
L’obiettivo era stimolare il paziente attivamente e comprenderne l’intenzionalità, ciò è risultato utile ai fini dell’osservazione anche con utenti che non disponevano del linguaggio verbale.
Il setting era organizzato in modo che il paziente potesse muoversi, per questo sono state proposte attività dinamiche, in chiave ludica.
La stanza era spaziosa, luminosa e all’occorrenza poteva essere oscurata per creare giochi di luce.
E’ stato possibile creare delle barriere con le sedie, per separare ambienti diversi, e quindi evitare la dispersione dell’attenzione nell’utenza.
Ogni paziente ha occupato lo spazio idoneo al proprio modo di essere.
L’esperienza svolta presso il CEMU è stata vissuta in un crescendo di emozioni, le attività proposte si sono arricchite in modo graduale, con nuovi strumenti, nuovi brani, nuove dinamiche, nuovi materiali.
Sono state utilizzate strategie d’ ingresso e in conclusione di seduta, in quanto, lavorando con bambini molto piccoli, è stato necessario regolare lo scorrere emotivo del tempo.
L’utenza era composta da 3 bambini, dai 2 anni e mezzo fino ai 6 anni.
Le patologie di cui sono affetti sono molto diverse, nel primo caso si trattava di un bambino nigeriano affetto da Tetraplegia Spastico- Distonica, il progetto prevedeva 10 incontri di gruppo volti nella scuola dell’infanzia che frequenta.
Il secondo caso tratta un bambino di 4 anni, nato con Sindrome di Down, non diagnosticata prima della nascita, il progetto si è svolto da ottobre 2008 al giugno 2009.
L’ultimo caso riguarda un bambino che oggi ha 7 anni, nato con un anomalia cromosomica del 7.
Gli incontri hanno avuto inizio nel settembre 2007 fino al giugno del 2008, sono ripresi nel settembre del 2008 e conclusi nel Febbraio del 2009.
Un aspetto teorico che ho voluto approfondire è quello del setting /contesto.
Oltre all’assetto normativo del setting, ho voluto evidenziare come la premessa del setting fisico sia essenziale per pensare al setting come spazio mentale.
La definizione specifica come ciò che avviene in seduta non si limiti all’interazione tra terapeuta e paziente, ma si connetta al contesto della persona, tutto ciò che avviene si collega alla rete del tessuto familiare, sociale e non si può non citare la patologia.
Il secondo punto teorico del setting è quello Esplorativo- relazionale, che chiama in causa il terapeuta.
Il terapeuta ha il ruolo di condurre, accompagnare il paziente verso un autentico processo di scoperta, favorendo la creazione di una relazione d’aiuto.
Ma ciò avviene attraverso l’osservazione partecipante, in questo caso è la relazione che determina il cambiamento, il terapeuta non può essere neutrale, in quanto non può annullare la sua presenza.
La scelta della metodologia, trattandosi di un contesto interpersonale, e lavorando con bambini molto piccoli, è stata influenzata dalla Music Learning Theory.
Il paziente è visto come un individuo attivo- recettivo, obiettivo principale quello di favorire lo sviluppo dell’attitudine musicale di ciascun bambino secondo le sue potenzialità, le sue modalità e soprattutto i suoi tempi.
Il terapeuta guida informalmente il bambino all’apprendimento musicale, attraverso l’esempio diretto, il gioco e il movimento, comunica con il bambino attraverso canti, melodie, ascoltando le risposte musicali spontanee del bambino, rispecchiandole e contestualizzandole nella sintassi musicale.
Durante l’iter del progetto è pervenuta la richiesta di incontri di P.T., da parte di una
famiglia in particolare.
In questo caso l’incontro prevedeva una seduta ogni 2 settimane con l’interazione tra:
Il genitore
Il bambino
Il terapeuta.
La richiesta si è rivelata un bisogno sentito dal genitore, in questo caso la madre.
Il coinvolgimento dei genitori è stato un aspetto aggiunto in itinere che non solo ha soddisfatto una richiesta degli stessi, in questo caso la madre, ma si è rivelato al contempo un’esigenza. La musica ha permesso di affrontare quelle difficoltà/inibizioni che influiscono nella relazione duale Madre-Figlio e facilitare la comunicazione non verbale.
La metodologia adottata è stata umanistico-sistemica.
Il percorso terapeutico, attraverso l’interagire col bambino, coinvolge un genitore, e ciò che accade in seduta modifica il modo di pensare del genitore. Non è necessario discutere sui pregiudizi, sui modi comuni di pensare, su previsioni più o meno infauste per il futuro; è importante affidarsi,. Quando un bambino sfoga le sue emozioni e trova accoglienza in momenti difficili, incomincia a riscoprire la sua corporeità attraverso il contatto diretto con il terapeuta e con la madre, che condividono con lui tale esperienza sonoro-affettiva, riprende fiducia in se stesso e si comporta in modo imprevedibile anche per i genitori. Ciò che accade è condiviso dalle persone presenti, è un camminare verso un traguardo che si definisce insieme.
Dal punto di vista teorico le applicazioni della musicoterapia sono molteplici, hanno un campo d’azione interdisciplinare, dall’ambito preventivo/educativo a quello riabilitativo terapeutico.
Questi settori non sono separati, ma si integrano all’interno di una realtà complessa.
Dalla lettura della diagnosi, alla stesura del progetto, il paziente va accolto, nella sua totalità.
Dal primo incontro inizia una storia nuova, in cui il paziente occupa un ruolo centrale.
Come sostiene Edith Stein rapportarsi con una persona significa porre la propria corporeità con quella dell’altro, ciò permette di entrare in empatia.
Soggetto dell’empatia è in noi.
Anche Hursel fa riferimento al Korper dal punto di vista fisiologico in connessione al Leib, il corpo che si emoziona e vibra.
Il vibrare del corpo del paziente da vita al corpo vibrante, come il luogo che permette all’uomo di cogliere il mondo esterno e allo stesso tempo l’esempio utile all’uomo per prolungare se stesso attraverso gli strumenti musicali.
Il progetto ricollegandosi a questi principi è stato intitolato “…Le Forme del pensiero Musicale”, il titolo fa evincere come la musica possa permettere al paziente di esprimersi nelle forme più diverse, attraverso l’agire, il “fare Musica”.
Come un dialogo che ha inizio dal corpo, fatto di gesti, posture, sguardi, ordine ritmico.
Il suono e gli strumenti permettono all’uomo di percepire in mondo, aprirsi al mondo e agli altri, il percorso è strutturato in chiave bio-psico-sociale.
L’approccio al Progetto è stato umanistico- fenomenologico.
Il paziente accolto in seduta era libero di scegliere lo strumento che in quel momento sentiva.
La disposizione degli strumenti all’interno del setting era strutturata in base all’obiettivo dell’incontro.
Gli strumenti potevano essere riposti sul carrello, disposti sul pavimento in una posizione centrale, o sparsi per la stanza.
L’obiettivo era stimolare il paziente attivamente e comprenderne l’intenzionalità, ciò è risultato utile ai fini dell’osservazione anche con utenti che non disponevano del linguaggio verbale.
Il setting era organizzato in modo che il paziente potesse muoversi, per questo sono state proposte attività dinamiche, in chiave ludica.
La stanza era spaziosa, luminosa e all’occorrenza poteva essere oscurata per creare giochi di luce.
E’ stato possibile creare delle barriere con le sedie, per separare ambienti diversi, e quindi evitare la dispersione dell’attenzione nell’utenza.
Ogni paziente ha occupato lo spazio idoneo al proprio modo di essere.
L’esperienza svolta presso il CEMU è stata vissuta in un crescendo di emozioni, le attività proposte si sono arricchite in modo graduale, con nuovi strumenti, nuovi brani, nuove dinamiche, nuovi materiali.
Sono state utilizzate strategie d’ ingresso e in conclusione di seduta, in quanto, lavorando con bambini molto piccoli, è stato necessario regolare lo scorrere emotivo del tempo.
L’utenza era composta da 3 bambini, dai 2 anni e mezzo fino ai 6 anni.
Le patologie di cui sono affetti sono molto diverse, nel primo caso si trattava di un bambino nigeriano affetto da Tetraplegia Spastico- Distonica, il progetto prevedeva 10 incontri di gruppo volti nella scuola dell’infanzia che frequenta.
Il secondo caso tratta un bambino di 4 anni, nato con Sindrome di Down, non diagnosticata prima della nascita, il progetto si è svolto da ottobre 2008 al giugno 2009.
L’ultimo caso riguarda un bambino che oggi ha 7 anni, nato con un anomalia cromosomica del 7.
Gli incontri hanno avuto inizio nel settembre 2007 fino al giugno del 2008, sono ripresi nel settembre del 2008 e conclusi nel Febbraio del 2009.
Un aspetto teorico che ho voluto approfondire è quello del setting /contesto.
Oltre all’assetto normativo del setting, ho voluto evidenziare come la premessa del setting fisico sia essenziale per pensare al setting come spazio mentale.
La definizione specifica come ciò che avviene in seduta non si limiti all’interazione tra terapeuta e paziente, ma si connetta al contesto della persona, tutto ciò che avviene si collega alla rete del tessuto familiare, sociale e non si può non citare la patologia.
Il secondo punto teorico del setting è quello Esplorativo- relazionale, che chiama in causa il terapeuta.
Il terapeuta ha il ruolo di condurre, accompagnare il paziente verso un autentico processo di scoperta, favorendo la creazione di una relazione d’aiuto.
Ma ciò avviene attraverso l’osservazione partecipante, in questo caso è la relazione che determina il cambiamento, il terapeuta non può essere neutrale, in quanto non può annullare la sua presenza.
La scelta della metodologia, trattandosi di un contesto interpersonale, e lavorando con bambini molto piccoli, è stata influenzata dalla Music Learning Theory.
Il paziente è visto come un individuo attivo- recettivo, obiettivo principale quello di favorire lo sviluppo dell’attitudine musicale di ciascun bambino secondo le sue potenzialità, le sue modalità e soprattutto i suoi tempi.
Il terapeuta guida informalmente il bambino all’apprendimento musicale, attraverso l’esempio diretto, il gioco e il movimento, comunica con il bambino attraverso canti, melodie, ascoltando le risposte musicali spontanee del bambino, rispecchiandole e contestualizzandole nella sintassi musicale.
Durante l’iter del progetto è pervenuta la richiesta di incontri di P.T., da parte di una
famiglia in particolare.
In questo caso l’incontro prevedeva una seduta ogni 2 settimane con l’interazione tra:
Il genitore
Il bambino
Il terapeuta.
La richiesta si è rivelata un bisogno sentito dal genitore, in questo caso la madre.
Il coinvolgimento dei genitori è stato un aspetto aggiunto in itinere che non solo ha soddisfatto una richiesta degli stessi, in questo caso la madre, ma si è rivelato al contempo un’esigenza. La musica ha permesso di affrontare quelle difficoltà/inibizioni che influiscono nella relazione duale Madre-Figlio e facilitare la comunicazione non verbale.
La metodologia adottata è stata umanistico-sistemica.
Il percorso terapeutico, attraverso l’interagire col bambino, coinvolge un genitore, e ciò che accade in seduta modifica il modo di pensare del genitore. Non è necessario discutere sui pregiudizi, sui modi comuni di pensare, su previsioni più o meno infauste per il futuro; è importante affidarsi,. Quando un bambino sfoga le sue emozioni e trova accoglienza in momenti difficili, incomincia a riscoprire la sua corporeità attraverso il contatto diretto con il terapeuta e con la madre, che condividono con lui tale esperienza sonoro-affettiva, riprende fiducia in se stesso e si comporta in modo imprevedibile anche per i genitori. Ciò che accade è condiviso dalle persone presenti, è un camminare verso un traguardo che si definisce insieme.
Dott.ssa Giuliana Galante