1.5 Doppio Legame
Nella teoria della comunicazione, per doppio legame si intende una relazione che si stabilisce tra emittente e destinario in presenza di una formulazione verbale di carattere paradossale, cioè quando la comunicazione produce una percezione contraddittoria in chi la riceve anche se la formulazione non sembra contenere errori.
La comunicazione paradossale è stata studiata da psicologi ed esperti di comunicazione soprattutto per le sue ripercussioni negative sul destinatario, il quale, comunque interpreti il messaggio paradossale che riceve, non saprà come rispondere.
L'espressione 'doppio legame' fu introdotta da Gregory Bateson in uno studio del 1956: “ Verso una teoria della schizofrenia”, dedicato alle possibili cause comunicative della malattia mentale, e fu poi ripreso da Paul Watzlawick.
Il doppio legame indica una situazione in cui, tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, la comunicazione dell'uno verso l'altro presenta una incongruenza tra il livello del discorso esplicito (quel che vien detto) e un ulteriore livello metacomunicativo (come possono essere i gesti, gli atteggiamenti, il tono di voce), e la situazione sia tale per cui il ricevente il messaggio non abbia la possibilità di decidere quale dei due livelli, che si contraddicono, accettare come valido, e nemmeno di far notare a livello esplicito l'incongruenza.
Come esempio Bateson riporta l'episodio della madre che, dopo un lungo periodo, rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali. Il figlio, in un gesto d'affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: "Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti".
Nonostante a livello di comunicazione implicita (il gesto di irrigidimento) la madre esprima rifiuto per il gesto d'affetto del figlio, a livello di comunicazione esplicita (la frase detta in seguito), la madre nega di essere la responsabile dell'allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si sia ritratto non perché intimorito dall'irrigidimento della madre, ma dai suoi stessi sentimenti; il figlio, colpevolizzato, si trova impossibilitato a rispondere.
Bateson, rifacendosi anche ai suoi studi sui livelli di apprendimento, ipotizza come possibile causa della schizofrenia l'esposizione cronica a situazioni di doppio legame in ambito familiare, in particolare nei rapporti con la madre.
Tale esposizione comporterebbe nello schizofrenico l'incapacità di saper valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita ed implicita adoperati dalle persone normali. Ad esempio, lo schizofrenico, posto di fronte a semplici domande quali "come stai oggi?", "cosa stai facendo?", non riuscirebbe ad accettarle come domande prive di doppi fini non contraddittori.
La teoria del doppio legame è stata più volte ripresa dai ricercatori di Palo Alto e non solo, ma questo concetto che sembrava “oggettivo”, anni dopo viene rivisto da Bateson che nel 1972 scriverà : “Come il paziente è consapevole di ciò che sta accadendo…il paziente è complice dell’inconscia ipocrisia del genitore, ne possono derivare una grandissima infelicità e distorsioni assai cospicue, ma sempre sistemiche , della comunicazione”.
Bateson dopo l’uscita di Pragmatics nel 1967 riteneva che le sue teorie fossero state utilizzate dai suoi ex colleghi di Palo Alto in modo riduttivo e strumentale per terapie basate su “potere” e “controllo” (proprio quello che voleva evitare!). Ecco come si esprime in una lettera aPaul Watzlawick (in Deriu cit., p. 21).
“Mi domandavo come i Kahunas (i sacerdoti hawaiani) si sentivano
quando vedevano le sculture dei loro dèi nelle vetrine di un’agenzia
di viaggio. Ora lo so. Certamente c’è una forma di ossequio
nell’avere l’uomo bianco che ammira l’arte nativa. E l’agenzia di
viaggio è solamente “pragmatica”, E il bottino talvolta è etichettato
correttamente rispetto alla provenienza. E ai nativi non ne viene nulla.”
Questa affermazione ha stimolato negli anni successivi l’interesse degli studiosi verso nuove congetture sulle disfunzioni della comunicazione e sugli effetti del paradosso all’interno della scuola.
1.6 Il paradosso
Da quando ho cominciato ad insegnare nelle scuole statali ho dovuto affrontare situazioni difficili ed estremamente doppio vincolanti. Io avevo il mio bagaglio culturale specifico di insegnante d’infanzia, attenta alle teorie pedagogiche studiate all’università, ma le situazioni socio-culturali nelle quali mi trovavo ad operare richiedevano ben altri strumenti.
Il paradosso che spesso si incontra nel mondo della scuola è il divario di una società che apprende ed applica le nuove regole fondamentali del comportamento e della comunicazione grazie alla rapida crescita dei media, che influenza i sistemi familiari, e la scuola di fatto si trova in difficoltà nel rendere concrete queste nuove scoperte nel mondo dell'educazione e dell'apprendimento. Il divario tra scuola e famiglia spesso porta a situazioni dove bisogna intervenire per evitare l’insorgenza del sintomi gravi.
Lo schema riporta aspetti che oggi la società attuale richiede, ma si tratta di
obiettivi che il mondo scolastico fatica a raggiungere.
Perché è così difficile per noi collegare ciò che abbiamo realizzato chiaramente nei media, nella televisione, nella radio con il mondo dell'educazione? Perché non facciamo nemmeno un piccolo sforzo per inserire nelle nostre scuole alcune delle attitudini, approcci e capacità da poter utilizzare nella vita quotidiana?
Ho cercato di ragionare sul perché ci troviamo in questa situazione paradossale e mi sono resa conto che mentre il business e i guadagni immediati hanno un impatto forte e provocano rapidi cambiamenti nel mondo economico, ci vuole molto più tempo per ottenere gli stessi cambiamenti in un campo che non fornisce guadagni così veloci e immediati.
Specialmente quando i cambiamenti, che il nostro mondo economico ha scoperto, metterebbero fortemente a rischio lo status quo dell'apprendimento, eliminando molti dei costi esistenti e delle infrastrutture, così come il valore di mercato di molti esami e certificazioni, rivoluzionando a fondo il mondo del lavoro e le associazioni professionali che conosciamo.
Vance Stevens e con altri partecipanti durante l’incontro annuale dell’ EVO 2009 Multiliteracies event, hanno condiviso alcuni dei pensieri su cosa sia l'apprendimento attuale e anche su ciò di cui avranno bisogno le generazioni future per essere preparate ad un mondo in cui non ci sarà più spazio per i riconoscimenti scolastici o per le domande predeterminate. Ecco alcune domande che mi hanno particolarmente colpita.
Gli Alunni : Come cambierà l’apprendimento in futuro?
Nella complessità attuale bisognerebbe mettere in dubbio il nostro modo di concepire il sistema scolastico come è e come dovrebbe essere, e forse anche guardare in maniera concreta a quale tipo ideale di apprendimento o quale futuro tipo di apprendimento può essere il migliore per noi e cosa possiamo fare per cambiare e migliorare tutto questo.
Il paradosso di tutto questo è che gli stessi insegnanti che hanno adottato, promosso e sostenuto queste idee, e che le sfruttano nel loro lavoro professionale, quando tornano a casa e guardano i loro figli, non hanno problemi nel non realizzare o non comprendere l'enorme divario che c'è tra le idee e i concetti che abbiamo già integrato nella nostra vita quotidiana e l'universo limitato in cui stiamo obbligando le generazioni future ad entrare, pensando di prepararle meglio nel gestire questo continuo cambiamento, l'innovazione e tutti questi nuovi approcci, e invece le mandiamo verso un mondo che è completamente scisso dall'attuale realtà e nel quale nessuno di questi principi è davvero concreto per loro da provare.
L’Insegnante: Come cambierà l’insegnamento?
Gli insegnanti continuano ad andare avanti sottolineando che non bisogna abbattere le scuole o rivoluzionare le istituzioni. Ciò rappresenta un grande sforzo e di fatto le istituzioni esistono da molto tempo. Molti di noi sono nati e cresciuti all'interno di questo universo scolastico, quindi l'esistenza di questo sistema sembra essere assolutamente necessaria.
Il sistema scolastico si è limitato all’utilizzo dei soliti testi e metodi, senza aprirsi al mondo reale, fatto di tanti altri elementi, come i media, presenti ormai in casa delle famiglie degli alunni. Questo è un limite che si dovrebbe riconoscere.
Quindi chiediamoci: insegnare oggi vuol dire preparare le nuove generazioni ad affrontare il mondo? Perché ogni volta che nella vita di tutti i giorni pensiamo all'apprendimento, pensiamo subito in qualche modo alle classi e agli insegnanti che ci aiuteranno a imparare le cose. Questa è più o meno l'idea che abbiamo nella nostra testa ogni giorno, è ciò che diamo per scontato.
Verso la scoperta: Investigazione
Se guardiamo al modo in cui osserviamo le cose, impariamo un sacco di cose nella vita di tutti i giorni, se osservi il lavoro di molte persone colte, degli opinion leader, ciò che ci stanno dicendo è che l'apprendimento si verifica non solo nelle classi, nella scuola, dove le cose che impariamo sono come divertirci mentre l'insegnante non se ne accorge, come fare i compiti in maniera più veloce possibile per poi avere più tempo libero, come scoprire le domande del prossimo compito in classe, in modo che possiamo rispondere bene.
Questo è ciò impariamo all'interno della scuola. Tutte queste cose non sono il vero oggetto dell'apprendimento, ma qualcosa che sta a lato di ciò che impariamo, mentre le cose che davvero impariamo nella nostra vita, le apprendiamo in maniera differente.
Cosa sappiamo quando termina la scuola?
Spesso quando ci pongono una domanda inerente ad una disciplina scolastica rispondiamo ciò che sappiamo, e pensiamo che la scuola è molto importante perché conosci un sacco di cose che poi si rivelano utili nella vita, ma dopo la scuola, di tutta la conoscenza che abbiamo accumulato, quanto possiamo mettere in pratica è davvero utile per muoverci all'interno dei rapidi cambiamenti che stanno avvenendo, per imparare le nuove tecnologie, per comprendere quali notizie siano buone e quali no, come riconoscere la propaganda dalla vera informazione...
Guardando questi aspetti fondamentali, possiamo vedere quanto sia grande il divario e quanta confusione ci sia per le persone comuni tra l'insegnamento e l'apprendimento, perché se insegnare è uguale ad imparare, e insegnare è ciò che avviene nelle scuole, non c'è modo di uscire facilmente dal circolo vizioso.
Pensiamo a quando abbiamo imparato a guidare la macchina, è vero che c’era l’istruttore a spiegarci come lasciare lentamente la frizione o tenere l'altro piede all'esterno perché si usa solo il piede destro sia per accelerare e per frenare. Ma non esiste altro modo per imparare che sedersi e iniziare a guidare e fare più di qualche errore.
Ma questo non è ciò che accade nella scuola.
Nella teoria della comunicazione, per doppio legame si intende una relazione che si stabilisce tra emittente e destinario in presenza di una formulazione verbale di carattere paradossale, cioè quando la comunicazione produce una percezione contraddittoria in chi la riceve anche se la formulazione non sembra contenere errori.
La comunicazione paradossale è stata studiata da psicologi ed esperti di comunicazione soprattutto per le sue ripercussioni negative sul destinatario, il quale, comunque interpreti il messaggio paradossale che riceve, non saprà come rispondere.
L'espressione 'doppio legame' fu introdotta da Gregory Bateson in uno studio del 1956: “ Verso una teoria della schizofrenia”, dedicato alle possibili cause comunicative della malattia mentale, e fu poi ripreso da Paul Watzlawick.
Il doppio legame indica una situazione in cui, tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, la comunicazione dell'uno verso l'altro presenta una incongruenza tra il livello del discorso esplicito (quel che vien detto) e un ulteriore livello metacomunicativo (come possono essere i gesti, gli atteggiamenti, il tono di voce), e la situazione sia tale per cui il ricevente il messaggio non abbia la possibilità di decidere quale dei due livelli, che si contraddicono, accettare come valido, e nemmeno di far notare a livello esplicito l'incongruenza.
Come esempio Bateson riporta l'episodio della madre che, dopo un lungo periodo, rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali. Il figlio, in un gesto d'affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: "Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti".
Nonostante a livello di comunicazione implicita (il gesto di irrigidimento) la madre esprima rifiuto per il gesto d'affetto del figlio, a livello di comunicazione esplicita (la frase detta in seguito), la madre nega di essere la responsabile dell'allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si sia ritratto non perché intimorito dall'irrigidimento della madre, ma dai suoi stessi sentimenti; il figlio, colpevolizzato, si trova impossibilitato a rispondere.
Bateson, rifacendosi anche ai suoi studi sui livelli di apprendimento, ipotizza come possibile causa della schizofrenia l'esposizione cronica a situazioni di doppio legame in ambito familiare, in particolare nei rapporti con la madre.
Tale esposizione comporterebbe nello schizofrenico l'incapacità di saper valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita ed implicita adoperati dalle persone normali. Ad esempio, lo schizofrenico, posto di fronte a semplici domande quali "come stai oggi?", "cosa stai facendo?", non riuscirebbe ad accettarle come domande prive di doppi fini non contraddittori.
La teoria del doppio legame è stata più volte ripresa dai ricercatori di Palo Alto e non solo, ma questo concetto che sembrava “oggettivo”, anni dopo viene rivisto da Bateson che nel 1972 scriverà : “Come il paziente è consapevole di ciò che sta accadendo…il paziente è complice dell’inconscia ipocrisia del genitore, ne possono derivare una grandissima infelicità e distorsioni assai cospicue, ma sempre sistemiche , della comunicazione”.
Bateson dopo l’uscita di Pragmatics nel 1967 riteneva che le sue teorie fossero state utilizzate dai suoi ex colleghi di Palo Alto in modo riduttivo e strumentale per terapie basate su “potere” e “controllo” (proprio quello che voleva evitare!). Ecco come si esprime in una lettera aPaul Watzlawick (in Deriu cit., p. 21).
“Mi domandavo come i Kahunas (i sacerdoti hawaiani) si sentivano
quando vedevano le sculture dei loro dèi nelle vetrine di un’agenzia
di viaggio. Ora lo so. Certamente c’è una forma di ossequio
nell’avere l’uomo bianco che ammira l’arte nativa. E l’agenzia di
viaggio è solamente “pragmatica”, E il bottino talvolta è etichettato
correttamente rispetto alla provenienza. E ai nativi non ne viene nulla.”
Questa affermazione ha stimolato negli anni successivi l’interesse degli studiosi verso nuove congetture sulle disfunzioni della comunicazione e sugli effetti del paradosso all’interno della scuola.
1.6 Il paradosso
Da quando ho cominciato ad insegnare nelle scuole statali ho dovuto affrontare situazioni difficili ed estremamente doppio vincolanti. Io avevo il mio bagaglio culturale specifico di insegnante d’infanzia, attenta alle teorie pedagogiche studiate all’università, ma le situazioni socio-culturali nelle quali mi trovavo ad operare richiedevano ben altri strumenti.
Il paradosso che spesso si incontra nel mondo della scuola è il divario di una società che apprende ed applica le nuove regole fondamentali del comportamento e della comunicazione grazie alla rapida crescita dei media, che influenza i sistemi familiari, e la scuola di fatto si trova in difficoltà nel rendere concrete queste nuove scoperte nel mondo dell'educazione e dell'apprendimento. Il divario tra scuola e famiglia spesso porta a situazioni dove bisogna intervenire per evitare l’insorgenza del sintomi gravi.
Lo schema riporta aspetti che oggi la società attuale richiede, ma si tratta di
obiettivi che il mondo scolastico fatica a raggiungere.
Perché è così difficile per noi collegare ciò che abbiamo realizzato chiaramente nei media, nella televisione, nella radio con il mondo dell'educazione? Perché non facciamo nemmeno un piccolo sforzo per inserire nelle nostre scuole alcune delle attitudini, approcci e capacità da poter utilizzare nella vita quotidiana?
Ho cercato di ragionare sul perché ci troviamo in questa situazione paradossale e mi sono resa conto che mentre il business e i guadagni immediati hanno un impatto forte e provocano rapidi cambiamenti nel mondo economico, ci vuole molto più tempo per ottenere gli stessi cambiamenti in un campo che non fornisce guadagni così veloci e immediati.
Specialmente quando i cambiamenti, che il nostro mondo economico ha scoperto, metterebbero fortemente a rischio lo status quo dell'apprendimento, eliminando molti dei costi esistenti e delle infrastrutture, così come il valore di mercato di molti esami e certificazioni, rivoluzionando a fondo il mondo del lavoro e le associazioni professionali che conosciamo.
Vance Stevens e con altri partecipanti durante l’incontro annuale dell’ EVO 2009 Multiliteracies event, hanno condiviso alcuni dei pensieri su cosa sia l'apprendimento attuale e anche su ciò di cui avranno bisogno le generazioni future per essere preparate ad un mondo in cui non ci sarà più spazio per i riconoscimenti scolastici o per le domande predeterminate. Ecco alcune domande che mi hanno particolarmente colpita.
Gli Alunni : Come cambierà l’apprendimento in futuro?
Nella complessità attuale bisognerebbe mettere in dubbio il nostro modo di concepire il sistema scolastico come è e come dovrebbe essere, e forse anche guardare in maniera concreta a quale tipo ideale di apprendimento o quale futuro tipo di apprendimento può essere il migliore per noi e cosa possiamo fare per cambiare e migliorare tutto questo.
Il paradosso di tutto questo è che gli stessi insegnanti che hanno adottato, promosso e sostenuto queste idee, e che le sfruttano nel loro lavoro professionale, quando tornano a casa e guardano i loro figli, non hanno problemi nel non realizzare o non comprendere l'enorme divario che c'è tra le idee e i concetti che abbiamo già integrato nella nostra vita quotidiana e l'universo limitato in cui stiamo obbligando le generazioni future ad entrare, pensando di prepararle meglio nel gestire questo continuo cambiamento, l'innovazione e tutti questi nuovi approcci, e invece le mandiamo verso un mondo che è completamente scisso dall'attuale realtà e nel quale nessuno di questi principi è davvero concreto per loro da provare.
L’Insegnante: Come cambierà l’insegnamento?
Gli insegnanti continuano ad andare avanti sottolineando che non bisogna abbattere le scuole o rivoluzionare le istituzioni. Ciò rappresenta un grande sforzo e di fatto le istituzioni esistono da molto tempo. Molti di noi sono nati e cresciuti all'interno di questo universo scolastico, quindi l'esistenza di questo sistema sembra essere assolutamente necessaria.
Il sistema scolastico si è limitato all’utilizzo dei soliti testi e metodi, senza aprirsi al mondo reale, fatto di tanti altri elementi, come i media, presenti ormai in casa delle famiglie degli alunni. Questo è un limite che si dovrebbe riconoscere.
Quindi chiediamoci: insegnare oggi vuol dire preparare le nuove generazioni ad affrontare il mondo? Perché ogni volta che nella vita di tutti i giorni pensiamo all'apprendimento, pensiamo subito in qualche modo alle classi e agli insegnanti che ci aiuteranno a imparare le cose. Questa è più o meno l'idea che abbiamo nella nostra testa ogni giorno, è ciò che diamo per scontato.
Verso la scoperta: Investigazione
Se guardiamo al modo in cui osserviamo le cose, impariamo un sacco di cose nella vita di tutti i giorni, se osservi il lavoro di molte persone colte, degli opinion leader, ciò che ci stanno dicendo è che l'apprendimento si verifica non solo nelle classi, nella scuola, dove le cose che impariamo sono come divertirci mentre l'insegnante non se ne accorge, come fare i compiti in maniera più veloce possibile per poi avere più tempo libero, come scoprire le domande del prossimo compito in classe, in modo che possiamo rispondere bene.
Questo è ciò impariamo all'interno della scuola. Tutte queste cose non sono il vero oggetto dell'apprendimento, ma qualcosa che sta a lato di ciò che impariamo, mentre le cose che davvero impariamo nella nostra vita, le apprendiamo in maniera differente.
Cosa sappiamo quando termina la scuola?
Spesso quando ci pongono una domanda inerente ad una disciplina scolastica rispondiamo ciò che sappiamo, e pensiamo che la scuola è molto importante perché conosci un sacco di cose che poi si rivelano utili nella vita, ma dopo la scuola, di tutta la conoscenza che abbiamo accumulato, quanto possiamo mettere in pratica è davvero utile per muoverci all'interno dei rapidi cambiamenti che stanno avvenendo, per imparare le nuove tecnologie, per comprendere quali notizie siano buone e quali no, come riconoscere la propaganda dalla vera informazione...
Guardando questi aspetti fondamentali, possiamo vedere quanto sia grande il divario e quanta confusione ci sia per le persone comuni tra l'insegnamento e l'apprendimento, perché se insegnare è uguale ad imparare, e insegnare è ciò che avviene nelle scuole, non c'è modo di uscire facilmente dal circolo vizioso.
Pensiamo a quando abbiamo imparato a guidare la macchina, è vero che c’era l’istruttore a spiegarci come lasciare lentamente la frizione o tenere l'altro piede all'esterno perché si usa solo il piede destro sia per accelerare e per frenare. Ma non esiste altro modo per imparare che sedersi e iniziare a guidare e fare più di qualche errore.
Ma questo non è ciò che accade nella scuola.
Tratto da:
•Articolo scritto in origine da Robin Good per MasterNewMedia ed è stato pubblicato per la prima volta il 20 marzo 2009 come "The Paradox Of Web 2.0 - Part 1: Is Teaching Equal To Learning?
•Edelstein C., Il counseling sistemico pluralista: dalla teoria alla pratica, Trento, Erickson, 2007.
•Bateson, G. Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi - 1977
•Articolo scritto in origine da Robin Good per MasterNewMedia ed è stato pubblicato per la prima volta il 20 marzo 2009 come "The Paradox Of Web 2.0 - Part 1: Is Teaching Equal To Learning?
•Edelstein C., Il counseling sistemico pluralista: dalla teoria alla pratica, Trento, Erickson, 2007.
•Bateson, G. Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi - 1977
Dott.ssa Giuliana Galante