"Le forme del Pensiero Musicale" Questo blog si occupa di Musicoterapia,di musica, dell'importanza del canto nella vita dell'uomo, e di tutte le forme di Arte ad essa correlate. In alto: "Picassiana" 2008
giovedì 12 dicembre 2013
Perchè la musica fa bene al cuore: Il canto in Coro
La ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Neuroscience , dimostra che la musica ha effetti calmanti sul cuore, e questi effetti aumentano quando si canta all’unisono con altre persone.
Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato degli elettrodi nell'orecchio dei cantanti, collegati a dei cardiofrequenzimetri: appena il coro inizia a cantare, il battito cardiaco dei singoli cantanti rallenta. Si tratta di una conseguenza del tipo di respirazione, che quando si canta viene maggiormente controllata e rallentata. Il canto, soprattutto quello in coro, è una sorta di "respirazione guidata" che modifica anche la funzione cardiovascolare
Il musicologo Bjorn Vickhoff , che ha guidato il progetto, spiega che il cuore rallenta il suo ritmo durante la fase di espirazione. Ma quello che ha più colpito i ricercatori è che in pochissimo tempo le frequenze cardiache dei coristi si sincronizzano tra loro. Le linee dei cardiofrequenzimetri, che durante le prime battute del canto registrano segnali molti diversi, iniziano rapidamente a disegnare una serie di picchi uniformi: una sorta di ritmo comune che segue il ritmo della canzone.
Quasi come se, lo sforzo dei cantanti per cercare una sincronia comune della voce, si rifletta anche sul fisico e quindi sul cuore.
Secondo i ricercatori svedesi il coro, ora che i suoi benefici sono stati dimostrati scientificamente, potrà essere utilizzato in alcune terapie riabilitative e come supporto per la riduzione di alcuni tipi di dolore e dell'ansia.
http://scienza.panorama.it/salute/Cantare-in-coro-fa-bene-al-cuore
lunedì 9 dicembre 2013
http://www.musicacorale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=44:musicoterapia&catid=36:la-voce&Itemid=40
MAURO UBERTI
Musicoterapia: la musica che guarisce
Stereoplay, III,13, maggio 1974, pp. 10-11
Edizioni Suono - Roma
Il saggio che coniò il detto: "Canta, che ti passa" non avrebbe certo sospettato che la musica sarebbe arrivata addirittura ad essere considerata ed usata come un medicamento. Eppure la musicoterapia, ché di questa stiamo parlando, è giunta oggi a tal grado di considerazione che medici, psicologi, pedagogisti e musicisti si stanno riunendo in società scientifiche, ricercano per approfondirvi le loro conoscenze e lavorano per trasformare quel principio popolare in sistema terapeutico.
Naturalmente sarebbe ingenuo pensare che il raffreddore possa essere curato con una canzonetta di Modugno o l'indigestione con una sinfonia di Mahler, ma non sarebbe affatto strano sentir parlare d’ulcere duodenali di origine nervosa trattate con terapie musicali. Ché il succo della musicoterapia è proprio nell'influenza psicologica della musica, dei suoi influssi sul sistema nervoso e su tutto quanto può essere governato da questo.
Nell'occuparmi di queste cose mi sono imbattuto in casi, apparentemente strani, di mali curati con questo mezzo. Una signora di mia conoscenza, per esempio, aveva incominciato giovanissima a soffrire di varici. Queste erano state curate con metodi tradizionali e con risultati alterni. Un miglioramento sensibile si manifestò però soltanto quando, avendo trovato un'ottima sistemazione economica col matrimonio, essa prese a studiare il pianoforte per occupare il tempo. Poco per volta una certa condizione nevrotica, che si era formata in lei fin da bambina a causa dell'ambiente familiare oppressivo, incominciò a risolversi e, parallelamente, incominciò a migliorare lo stato delle sue vene. Presto fu chiara anche la spiegazione: il disagio psicologico le si somatizzava in una contrazione muscolare stabile, che comprimeva il circolo venoso profondo delle gambe e costringeva il sangue a riversarsi nel circolo superficiale provocando le varici. Quando assieme alle nevrosi si sciolse la tensione muscolare migliorò in modo evidente anche lo stato delle sue vene.
Ricordo pure il caso analogo di un libero professionista stressato dal carico psicologico del suo lavoro, che non trovava cure efficienti per i suoi "reumatismi", ma che sentiva cessare ogni dolore quando riusciva a concedersi un po' d'ascolto dal suo impianto ad alta fedeltà.
In questo senso, però, non si può dire che la musica svolga un'azione psicoterapica diversa da qualsiasi altra attività capace di interessare in profondità il nevrotico fino a risolvere il suo male per sublimazione (in psicanalisi si indica con questo termine il fenomeno per cui la pulsione interiore, rivolta ad una certa meta, viene deviata verso un'altra). Quanto di essenzialmente diverso presenta la musica nelle sue applicazioni terapeutiche è l'attitudine a venire "somministrata" dall'esterno per mezzo dell'ascolto, quasi come una medicina, e di non presentare la stretta necessità di essere praticata attivamente.
Tipico è il caso degli individui affetti da autismo. Si indica con questo termine una condizione patologica della personalità, per cui l'individuo tende a rinchiudersi in se stesso rifiutando ogni comunicazione con l'esterno. In certi casi la musica, "propinata" per mezzo di altoparlanti, può essere una sorta di cavallo di Troia, che permette al mondo esterno di insinuarsi nella mente del malato e favorire l'inizio del processo di estroversione. Ma, in casi meno complicati, si può avere l'uso della musica come anestetico per piccoli interventi chirurgici in cui il paziente viene distolto da sensazioni dolorose, sovente più frutto di autosuggestione che reali, con l'ascolto di musiche adatte ai suoi gusti.
È difficile, tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze in materia, stabilire tanto le possibilità quanto i limiti della musicoterapia. Se i risultati più evidenti si osservano, come detto, nella sublimazione delle nevrosi - e in questo senso non si può dire che la musica abbia possibilità maggiori della pittura o della filatelia se queste costituiscono per caso un valido centro di interesse per il malato - vi sono però elementi ad essa peculiari, che consentono applicazioni specializzate. Così, per esempio, il ritmo. Tante delle nostre funzioni biologiche sono regolate da ritmi e alla base delle deficienze del loro funzionamento sta sovente una disritmia generale. Rieducare le capacità ritmiche dell'individuo significa in questi casi ricostituire le fondamenta mancanti al corretto andamento della funzione. Alla radice della balbuzie, per esempio, c'è quasi sempre una forte disritmia che si riflette negativamente sulla regolarità della respirazione e del discorso. A Torino il prof. Oskar Schindler della Clinica Otorinolaringolatrica dell'Università rieduca i bambini balbuzienti incominciando a curare il loro senso ritmico. A questo fine ha adottato il metodo "Orff", il noto sistema didattico per l'educazione musicale di base, fondato prevalentemente sulla ritmica, e sta ottenendo ottimi risultati.
Altra applicazione dell'aspetto ritmico della musica è data dallo stimolo che essa può costituire per l'allenamento e l'affinamento delle capacità motorie degli handicappati. L'atto del suonare - e particolarmente del suonare strumenti a percussione - oltre che stimolo psicologico per fare svolgere un'attività fisica generica a persone sfiduciate, è un esercizio insostituibile per affinarne le capacità di movimento e per portarli a sfruttare nel miglior modo le poche capacità muscolari loro rimaste. Posso citare a questo proposito un'esperienza personale, svoltasi nel reparto "invalidi" di un noto istituto religioso, che ha per scopo il ricovero e l'assistenza dei minorati di ogni tipo.
Il mio esperimento aveva per fine la ricerca di applicazioni musicoterapiche nel caso di minorazioni fisiche in soggetti psicologicamente normali e nasceva dall'osservazione del fatto che gli strumenti "Orff", tutti a percussione (xilofoni, tamburi, piatti, ecc.) possono essere suonati, al limite, stringendo fra i denti un battente. Ebbi modo di sperimentarne un'applicazione interessante in un caso di distrofia muscolare (un male incurabile per il quale i muscoli vanno progressivamente atrofizzandosi fino al momento in cui il cuore, che è appunto un muscolo, diventa insufficiente a mantenere in vita l'organismo).
Il mio primo tentativo fu quello di far suonare al giovane invalido un tamburello, ritenendo che questo strumento, per via della sua semplicità, fosse il più adatto alle sue condizioni. In realtà il ragazzo, che tentava di suonarlo alzando tutto il braccio ormai privo dl forze, non riusciva a cavarne suoni utili. Avendo invece sostituito il tamburo con uno xilofono posto ad altezza conveniente, l'articolazione del polso si dimostrò sufficiente alla bisogna e l'invalido affinò progressivamente le sue capacità motorie imparando a sfruttare le poche energie rimastegli. Dopo qualche tempo, infatti, era in grado di suonare anche il tamburello, occasione del suo precedente fallimento; non solo, ma era migliorata la sua capacità generica di manipolazione.
Con tutto ciò le possibilità di applicazione della musicoterapia sono e rimangono prevalentemente in campo psicologico e sociale. Sempre nel corso di quell'esperienza, rimasta purtroppo incompiuta, i risultati ottenuti furono prevalentemente di questo tipo. La piccola società costituita dai ragazzi di quel reparto si reggeva su di un equilibrio di tipo feudale. Ogni classe era sotto il controllo del ragazzo più anziano, con funzione di delatore ufficiale e l'incarico formale di riferire alla suora addetta al reparto il comportamento dei ragazzi e dei professori (vi era distaccata, infatti, una sezione di scuola media statale). Di qui discendeva una gerarchia naturale, determinata dalla disponibilità alla delazione, dalla validità fisica, dalla socialità, ecc., per la quale si aveva: da un lato un sistema di tacito vassallaggio, fatto di piccoli servizi che andavano a senso unico dal vassallo, al valvassore e al valvassino; dall'altro qualcosa di simile all'ordine delle beccate, esistente nei pollai e per il quale, a prescindere dalla gallina dominante, ognuna ha delle inferiori che becca e delle superiori dalle quali viene beccata. Fino all'ultima, che non ne becca nessuna ed è beccata da tutte. II sistema, unito ad ottime cure materiali e ad un'assistenza medica di alto livello, concorreva a mantenere l'ordine, la tranquillità ed il silenzio nel reparto.
Il nostro miodistrofico, dunque, rappresentò l'ultima gallina dell'ordine delle beccate fino a quando non riprese fiducia in se stesso attraverso un'attività musicale per la quale era discretamente dotato, trovando poi motivi di interesse anche per le altre materie, arrivando persino a sorpassare in profitto il vassallo-delatore della sua classe ed uscendo automaticamente da quel ruolo doloroso.
Nell'ambiente descritto la musica dimostrò anche il suo potere socializzante. L'attività musicale d'assieme, infatti, non ammette gerarchie, ma solo il coordinamento dell'attività dei singoli ad un fine comune sul piano della parità. Così gli attriti scomparivano durante le ore di musica e andavano progressivamente attenuandosi anche in quelle seguenti.
Particolarmente significativo mi pare il caso di un ragazzo colpito da una serie di mali, aggiunta alla sua menomazione congenita, che stava attraversando una forte crisi di ribellione alle sue condizioni. In aula prese a rifiutarsi di partecipare all'attività comune, a voltare le spalle a tutti e ad isolarsi contro un muro nella lettura di un giornalino fino al giorno in cui non si tenne una lezione interamente dedicata alla ritmica: ripetizione e creazione di ritmi realizzati col battito delle mani. Lo vidi agire sulla manovella che metteva in moto le ruote della sua lettiga, voltarsi e inserirsi finalmente nell'attività del gruppo.
Ma l'esperimento a questo punto venne stroncato. Fu giudicato rumoroso e turbatore della tranquillità del reparto. Il musicoterapista fu accusato di essere un "diseducatore" in quanto i ragazzi, dopo le sue lezioni, erano più vivaci e non restavano più fermi e silenziosi ai posti assegnati.
È il trattamento che ho visto riservato da istituti analoghi ad altri musicoterapisti ed è curioso che ciò avvenga proprio mentre la medicina ufficiale si sta occupando della musica come terapia con attenzione crescente.
Ma forse il fatto che questi enti, di istituzione e mentalità tradizionali, accomunino la musicoterapia alle branche avanzate della psicologia nel trattamento che riservano loro, è un segno della sua vitalità.
domenica 20 ottobre 2013
L' Elaborazione del lutto inteso come "Perdita"
. Nella nostra società parlare di certe argomentazioni non è molto diverso da quello che accadeva in "Totem e Tabù"
scritto da S. freud nel 1913, personalmente mi fa venire in mente ciò che non si dice, ciò che non si può fare, ma si dice e si fà magari di nascosto...il sistema totemico impediva l'incesto anche tra membri dello stesso clan non legati dal sangue, e considerava incestuose le relazioni tra i membri dello stesso clan che non generavano figli.
Conclude il saggio con una discussione del tabù della suocera, e conclude che i desideri incestuosi inconsciamente repressi presso i popoli civilizzati sono ancora un pericolo cosciente per il popolo non civilizzato oggetto degli studi di Frazer; senza nulla togliere al pensiero di Frazer penso che noi civilizzati abbiamo ancora molto da imparare.
Ritornando al lutto inteso come abbandono e distacco non voglio solo fare riferimento alla morte ma alla perdita di qualcuno o qualcosa che non fa più parte della nostra esistenza. Non si parla di "perdita" a scuola, non se ne parla in famiglia, nè da parte media, sembra che tutti si debba sempre vincere qualcosa o arrivare a chissa quale obbiettivo.
L'esperienza della perdita porta con sè emozioni, sofferenza, frustrazioni che sono assolutamente personali, legate al vissuto umano, e il processo che porta ad alleviare questa condizione è lungo ed articolato, diverso da persona a persona.
Nel contesto attuale di autoreferenzialità i processi legati al dolore possono essere aggravati dal momento in cui non avviene una condivisione. Colpa dei ritmi frenetici del mondo contemporaneo, ma non solo;le persone non si fidano più delle persone. Questo è un aspetto umano socialmente deleterio, dal momento che anche molti animali vivono in gruppo per garantire la sopravvivenza del branco.
Il gruppo di persè è un contenitore che contiene risorse, direzioni diverse e modulate in modo tridimensionale, è un luogo di feedback, un luògo che rassicura.
Se intendiamo col chiedere aiuto a qualcuno un comportamento che ci possa danneggiare è solo perchè siamo in balia di modi di pensare globali distorti. Si può chiedere all'altro un momento di ascolto, di condivisione emotiva e affettiva, si può mostrare la fragilità senza commettere reato alcuno.
Si può "ESSERE" senza la paura di non essere abastanza, non bisogna vergognarsi di essere umani.
Dott.ssa Giuliana Galante
.
https://www.facebook.com/#!/notes/giuliana-galante/l-elaborazione-del-lutto-inteso-come-perdita/10151991805455522
. Nella nostra società parlare di certe argomentazioni non è molto diverso da quello che accadeva in "Totem e Tabù"
scritto da S. freud nel 1913, personalmente mi fa venire in mente ciò che non si dice, ciò che non si può fare, ma si dice e si fà magari di nascosto...il sistema totemico impediva l'incesto anche tra membri dello stesso clan non legati dal sangue, e considerava incestuose le relazioni tra i membri dello stesso clan che non generavano figli.
Conclude il saggio con una discussione del tabù della suocera, e conclude che i desideri incestuosi inconsciamente repressi presso i popoli civilizzati sono ancora un pericolo cosciente per il popolo non civilizzato oggetto degli studi di Frazer; senza nulla togliere al pensiero di Frazer penso che noi civilizzati abbiamo ancora molto da imparare.
Ritornando al lutto inteso come abbandono e distacco non voglio solo fare riferimento alla morte ma alla perdita di qualcuno o qualcosa che non fa più parte della nostra esistenza. Non si parla di "perdita" a scuola, non se ne parla in famiglia, nè da parte media, sembra che tutti si debba sempre vincere qualcosa o arrivare a chissa quale obbiettivo.
L'esperienza della perdita porta con sè emozioni, sofferenza, frustrazioni che sono assolutamente personali, legate al vissuto umano, e il processo che porta ad alleviare questa condizione è lungo ed articolato, diverso da persona a persona.
Nel contesto attuale di autoreferenzialità i processi legati al dolore possono essere aggravati dal momento in cui non avviene una condivisione. Colpa dei ritmi frenetici del mondo contemporaneo, ma non solo;le persone non si fidano più delle persone. Questo è un aspetto umano socialmente deleterio, dal momento che anche molti animali vivono in gruppo per garantire la sopravvivenza del branco.
Il gruppo di persè è un contenitore che contiene risorse, direzioni diverse e modulate in modo tridimensionale, è un luogo di feedback, un luògo che rassicura.
Se intendiamo col chiedere aiuto a qualcuno un comportamento che ci possa danneggiare è solo perchè siamo in balia di modi di pensare globali distorti. Si può chiedere all'altro un momento di ascolto, di condivisione emotiva e affettiva, si può mostrare la fragilità senza commettere reato alcuno.
Si può "ESSERE" senza la paura di non essere abastanza, non bisogna vergognarsi di essere umani.
Dott.ssa Giuliana Galante
.
https://www.facebook.com/#!/notes/giuliana-galante/l-elaborazione-del-lutto-inteso-come-perdita/10151991805455522
domenica 11 novembre 2012
Sabato sono stata a un seminario di MT a Torino, dove ho avuto modo di ascoltare delle cose che apparentemente sembrano molto scontate, ma repetita iuvant...
Non bisogna mai date per scontate alcune cose che accadono nei gruppi di cui ho parlato durante un convegno a cui ho partecipato lo scorso maggio, cose semplici di cui i gruppi risentono, le "Contingenze "....
Tutti i partecipanti di un gruppo dovrebbero essere consapevoli di questi punti:
- Il setting come luogo fisico-relazionale
- L'integrazione di tutti i partecipanti
- Le emozioni in gioco
- L'apprendimento
- Aspetti educativi, cognitivi e affettivi
Prima
di entrare all'interno del setting bisogna ricordare.....
Ogni
incontro è un nuovo incontro.
Ad
ogni incontro bisogna ripensare il proprio intervento in modo
professionale.
Porre
attenzione alle dinamiche globali del gruppo nel qui ed ora.
Mettersi
in discussione. Evitare le polemiche.
Ascoltare,
accogliere i bisogni espressivi dell'altro.
Contenere
e contenersi.
Essere
consapevoli delle finalità senza far prevalere le proprie
aspettative artistiche col rischio di perdere di vista le persone.
Si
è gruppo quando ci si concentra tutti sull'intervento, si accoglie
il disagio dell'altro portandolo su un piano più alto ponendosi
delle domande: “Cosa posso fare per sostenerlo? Per condividere
questo momento di difficoltà?
Dott.ssa Galante Giuliana
lunedì 5 novembre 2012
Giuliana Galante: Insegnante
“La vera creatività è nella relazione, nella comunicazione di emozioni, nel rapporto creativo della persona con gli altri o con la natura.
Borges in “Alle pagine di un libro”
I bambini, con cui lavoro mi stupiscono sempre, le loro riflessioni e i loro pareri per me sono importanti e spesso chi fa il mio lavoro dovrebbe prendere spunto da loro... sia rispetto alle attività e chiedere loro cosa gli piace o cosa vorrebbero approfondire, sia perchè ogni cosa detta è vera, è reale e onesta.
Gli adulti onesti di solito non sono cosi, ce ne sono, ma non sempre dicono ciò che pensano, per convenzione o solo perchè sono adulti.
Il bello del mio lavoro è che posso meravigliarmi, arrabbiarmi e sgridare qualcuno, giocare con loro ma nessun giorno è uguale a un altro.
Si cresce insieme , ci si contamina con le più varie forme di lingua, non linguaggio, dove il non detto è ricco di intensità, spinte emoozionali e condivisione.
Giuliana Galante
venerdì 2 novembre 2012
Gioco simbolico e paure
Giocare in modo creativo comporta l'uso dei simboli, e tutto cio' alla fine porta alla crescita individuale.
Si comprende quanto il gioco sia connesso all'attivita' educativa insieme alla scoperta dell'altro.
Trasformarsi per un giorno (Halloween) ha un'importanza enorme: far paura, essere mostruosi per un giorno per sconfiggere le paure. Travestirsi è un gioco.
Significa avere l'aria di possedere quel che non si può dire, essere forti e coraggiosi.... aprirsi al mondo del simbolico.
Bisogna liberare le loro paure esorcizzandole col gioco sempre.
Giuliana Galante
Si comprende quanto il gioco sia connesso all'attivita' educativa insieme alla scoperta dell'altro.
Trasformarsi per un giorno (Halloween) ha un'importanza enorme: far paura, essere mostruosi per un giorno per sconfiggere le paure. Travestirsi è un gioco.
Significa avere l'aria di possedere quel che non si può dire, essere forti e coraggiosi.... aprirsi al mondo del simbolico.
Bisogna liberare le loro paure esorcizzandole col gioco sempre.
Giuliana Galante
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